Scorie - Al G7 l'Italia ha portato lo sguardo del keynesiano all'amatriciana

"L'Italia ha portato uno sguardo neokeynesiano, priorità assoluta condivisa da tutti almeno a parole. Una politica che non mette al centro la ripartenza del sogno e del progetto europeo per noi non funziona. I tedeschi, dal loro punto di vista, hanno qualche preoccupazione in più perché temono un atteggiamento inviso da parte dell'opinione pubblica."
(M. Renzi)


Al G7 tenutosi in Giappone Renzi ha portato, a nome dell'Italia, uno "sguardo neokeynesiano", quello che da diverso tempo io preferisco definire "keynesismo all'amatriciana". A suo dire, riscontrando il favore di tutti, "almeno a parole", tranne i tedeschi per motivi elettorali.

In realtà i tedeschi non sono spendaccioni quanto gli altri governi a prescindere dall'opinione pubblica e, in fin dei conti, a portare acqua al mulino keynesiano erano per lo più il Giappone (miglior caso empirico dei fallimenti del keynesismo), gli Stati Uniti e l'Italia.

Secondo Renzi, lo "sguardo neokeynesiano" consentirebbe di mettere al centro "la ripartenza del sogno e del progetto europeo". Il sogno, se così lo si vuole definire, consiste poi grosso modo nel continuare a credere che basti fare spesa pubblica in deficit, classificandola come investimento, per far crescere stabilmente l'economia. Ma provvedimenti del genere, oltre a gonfiare il debito, hanno effetti sul Pil solo temporanei. Dopodiché il Pil si sgonfia, mentre il debito rimane, con conseguente aumento del rapporto tra debito e Pil.

Secondo il keynesiano Renzi, il problema dell'Italia è la carenza di investimenti pubblici.

"Negli ultimi anni i governi italiani hanno speso 40 miliardi di investimenti pubblici, vale a dire la metà del 2007, quindi è evidente che se la crescita italiana non è al 2% dipende da questa riduzione. L'Italia, a forza di sgomitare in Europa sulla flessibilità, ha ottenuto di passare da 40 miliardi di investimenti del biennio 12-13 ai 58 nel biennio 14-15."

Ho già notato anche di recente (vedi Scorie del 19 maggio) che Renzi non è rigoroso quando parla di numeri, volendo usare un eufemismo. Qualche giorno fa, lamentando la carenza di investimenti pubblici, sosteneva che "spendevamo 40 miliardi all'anno di investimenti e siamo passati a venti miliardi di investimenti". Adesso sono tornati miracolosamente a 58 miliardi, grazie alla "flessibilità" ottenuta dalla Commissione europea.

In realtà, nel biennio 2012-2013 le uscite in conto capitale sono state complessivamente poco meno di 122 miliardi, di cui 79,7 classificati come investimenti fissi lordi. Nel biennio 2014-2015 le uscite in conto capitale sono state pari a 125 miliardi, di cui 74,1 classificati come investimenti fissi lordi. Questo, almeno, stando alla Ragioneria generale dello Stato.

Tutto ciò detto, non è spendendo più soldi in deficit e dicendo che si sono fatti investimenti che si migliora la situazione dell'Italia, già gravata da oltre 2.200 miliardi di debito pubblico. E resta anche da capire per quale motivo Renzi, ritenendo prioritari gli "investimenti", abbia fin qui preferito provvedimenti come gli 80 euro, i bonus bebè e i 500 euro ai neomaggiorenni. Resto dell'idea che quelli siano stati investimenti elettorali.

Invece di pensare a spendere soldi, il presidente onorario dei  keynesiani all'amatriciana sarebbe bene che iniziasse a fare tagli di spesa (non solo a livello di slides) e di tasse (non solo a parole).

Dubito che andrà così.


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