Scorie - Nessuna collaborazione

Un articolo di Enrico De Mita dal titolo "Nuovo fisco? Tasse giuste, collaborazione vera", pubblicato sul Sole 24 Ore, mi fornisce diversi spunti per ribadire che, realisticamente, non può esservi un rapporto di "collaborazione vera", men che meno di fiducia reciproca, tra il fisco e il cosiddetto contribuente. E' la natura stessa del rapporto, nel quale una parte ha potere coercitivo sull'altra, che rende impossibile, per chi subisce la coercizione, sentire che si tratti di collaborazione in un rapporto di reciproca fiducia. Ovviamente possono esistere eccezioni, ma credo che in tal caso non ci si allontani dal vero ipotizzando un atteggiamento intriso di servilismo da parte del pagatore di tasse.

De Mita apre l'articolo così:

"Nell'atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale per gli anni 2016/2018 il ministro dell'Economia ha posto la collaborazione con il contribuente come condizione primaria per la lotta all'evasione. Ma nessuna collaborazione può funzionare se il livello delle aliquote non è accettabile. In ogni caso, niente di nuovo sotto il sole. Già Ezio Vanoni negli anni Cinquanta aveva detto che il rapporto fra fisco e contribuente non deve essere di «reciproco sospetto e di ostilità». I cittadini devono essere intimamente convinti della necessità e dell'equità dell'imposizione fiscale. Si impone, dunque, un rapporto di collaborazione. L'amministrazione deve aiutare il contribuente rimuovendo tutti gli ostacoli formali e psicologici che impediscono la collaborazione. Le leggi fiscali non devono essere scritte nel presupposto che il contribuente le evade. Viene definitivamente superata la concezione di Francesco Carnelutti secondo la quale il fisco è un ladro che cerca di portare via quanto è più possibile e il contribuente ha diritto di difendersi; in sede penale il contribuente ha diritto a mentire."

A mio parere Francesco Carnelutti aveva pienamente ragione, e il fatto stesso che la storia della collaborazione, della mancanza di ostilità e di reciproco sospetto non sia cambiata dai tempi in cui ne parlava Ezio Vanoni (sono passati 60 anni, ma le cose andavano così anche prima, praticamente da quando esiste l'imposizione fiscale), dovrebbe far venire dei dubbi a chi pensa sia possibile che tra chi impone le tasse e chi le paga possa esistere una sorta di partnership.

Vorrei inoltre evidenziare che utilizzare il concetto di "sopportabilità" non ha alcun senso. E' evidente che minore è l'aliquota, minore sarà il carico fiscale, ma quello di sopportabilità è un concetto soggettivo, per cui credo sia errato tentare di oggettivizzarlo.

Eppure pare essere quello che fa De Mita, che prosegue così:

"Ma questo profilo formale, sia pure necessario, non è sufficiente a combattere l'evasione. Occorre che l'imposta sia sopportabile. L'adesione non può essere richiesta a ciò che non è giusto. Quindi, le aliquote devono essere sopportabili. Il massimo deve essere collocato a un livello oltre il quale il contribuente è portato naturalmente all'evasione: l'eccessivo livello delle aliquote è causa tecnica di evasione. Questo livello è stato largamente raggiunto e superato in Italia."

Tecnicamente può anche essere convenuto che la soglia della sopportabilità sia quella oltre la quale "il contribuente è portato naturalmente all'evasione". Il problema è che non siamo tutti uguali, per cui, a parità di base imponibile, ciò che Tizio ritiene sopportabile potrebbe non esserlo per Caio.

Tutto il ragionamento di De Mita è basato poi sul presupposto, del tutto infondato, che possa essere definito "giusto" un determinato livello di tassazione. Ma come si fa a definire giusta un'obbligazione posta coercitivamente a capo di qualcuno? Il pagatore di tasse non può scegliere di non pagare rinunciando ai servizi pubblici. Come si fa a parlare di giustizia in un rapporto in cui manca la volontarietà (o, in ogni caso, non è necessario che ci sia la volontarietà) di una delle parti?

De Mita se la prende, poi, con il concordato:

"Ma è l'intero sistema tributario che è organizzato in modo da non consentire l'auspicio che tutti paghino per pagare di meno. Al centro del sistema c'è il concordato, in tutte le sue versioni: un accordo che già nel 1971 veniva considerato la causa prima di una forte discriminazione fra i contribuenti. E la parità di trattamento è una delle condizioni che deve essere posta a base della collaborazione. La sanzione penale dovrebbe essere alternativa alla collaborazione e in funzione dell'accertamento: se il contribuente paga, avvalendosi di tutte le forme transattive, non viene punito. Le cento strade che il fisco si inventa per racimolare qualche soldo sono incompatibili per una collaborazione, perché ognuno preferisce la strada che gli conviene. La collaborazione è possibile se tutti i cittadini sono trattati allo stesso modo. Se nella collaborazione non viene compresa anche l'equità e la sopportabilità la proposta diventa una coperta per lasciare le cose come stanno.
Le belle maniere non sono sufficienti se non si inventa un sistema razionalmente ispirato fondato sulla parità di trattamento e sulla sopportabilità. Il fisco italiano interviene su singole situazioni mentre si richiede una visione unitaria. Della quale non si sente parlare."

E' evidente che ognuno, trovandosi in contenzioso con il fisco, cerchi la strada che gli conviene. E a me pare altrettanto evidente che se uno afferma "Le cento strade che il fisco si inventa per racimolare qualche soldo sono incompatibili per una collaborazione" non ha senso che poco prima abbia contestato l'affermazione di Carnelutti secondo la quale il fisco cerca di portare via quanto più possibile.

Io mi permetterei solo di aggiungere che non solo cerca di portare via quanto più possibile, ma anche che aggredisce i soggetti dai quali ritiene di incontrare minori resistenze, che spesso sono coloro i quali non possono (o ritengono non convenga loro) pagare somme significative per essere difesi in contenzioso.

Altro che collaborazione vera.


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