Scorie - Il rinvio infinito

"Preoccupano gli sviluppi dell'economia globale. E la Fed monitora, consapevole che la debolezza economia mondiale potrebbe pesare sull'inflazione."
(J. Yellen)

Fino allo scorso anno, gli esponenti di vertice della Federal Reserve erano soliti ripetere che le decisioni di politica monetaria venivano prese avendo riguardo esclusivamente della situazione economica statunitense, e in particolare dell'andamento dell'occupazione e di un indice ei prezzi al consumo, ossia le due variabili che, per statuto, la Fed deve "ottimizzare".

Dopo le stagioni dei diversi Qe, che hanno portato il bilancio della Fed a raggiungere la cifra non irrisoria di 4.500 miliardi di dollari (creati dal nulla) affluiti in diverse parti del mondo alla ricerca di opportunità di carry da parte dei primi beneficiari di quei flussi di moneta fiat (ossia, principalmente, le banche che vendevano i titoli alla Fed nell'ambito del Qe), Bernanke prima e Yellen poi hanno prospettato un inizio di inversione nella politica monetaria al raggiungimento di un tasso di disoccupazione del 6 per cento.

Ebbene, il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 6 per cento a settembre 2014 e il mese scorso si è attestato al 5.1 per cento (sia pure con un tasso di partecipazione al mercato del lavoro su livelli minimi degli ultimi quattro decenni), ma la Fed ha continuato a rimandare il primo rialzo dei tassi di interesse, dando evidentemente più importanza al fatto che i prezzi al consumo non crescono in linea con il target (arbitrario) del 2 per cento annuo.

Formalmente, da mesi sostiene che entro il 2015 un piccolo ritocco del tasso sui Fed Funds verrà fatto, ma a ogni riunione del FOMC (il comitato che decide la politica monetaria della Fed; la quintessenza della pianificazione centralizzata), la decisione viene rinviata a larga maggioranza. E in prossimità delle riunioni del FOMC non si contano le analisi per lo più di economisti keynesiani, soprattutto quelli a libro paga delle banche di investimento, che sconsigliano la Fed dall'alzare i tassi di interesse, per non tarpare le ali alla crescita dell'economia.

Che la (peraltro non stratosferica) crescita del Pil statunitense sia stata ampiamente dopata dalla politica monetaria è evidente, anche se gli stessi fautori delle politiche di tassi a zero e allentamenti quantitativi in serie sostengono spesso che si tratti di crescita robusta. Cadendo poi in contraddizione quando lanciano allarmi preventivi sui danni provocati da un aumento dei tassi di un quarto di punto percentuale. Se davvero un quarto di punto è sufficiente a far tornare l'America in recessione, a me pare evidente che quella degli ultimi anni sia stata una crescita in gran parte fittizia.

Adesso Yellen tira in ballo anche la situazione economica internazionale, il che, ragionando da pianificatore centralizzato, è una delle cose meno assurde che potesse fare, dato che effettivamente la politica monetaria della Fed ha ripercussioni globali. Ma se è impossibile "governare" l'economia di una parte del mondo, a maggior ragione non è possibile "governare" quella del mondo intero.

Resta il fatto che i signori alla guida della Fed avrebbero dovuto pensare alle ripercussioni globali di ciò che facevano anche quando stampavano dollari giorno e notte; dollari che hanno gonfiato i prezzi delle attività finanziarie e il debito in giro per il mondo, abbassando un po' ovunque il costo del denaro (anche perché le politiche monetarie espansive della Fed hanno generato reazioni "difensive" altrettanto espansive da parte della altre banche centrali).

Non so se la Fed effettivamente agirà entro fine anno o se troverà ancora qualche pretesto per rinviare. Personalmente sono dell'idea che la cosa migliore sarebbe un mondo di monete non gestite da banche centrali, per cui ogni intervento monetario lo trovo distorsivo, al pari di ogni provvedimento statale o parastatale di fissazione del prezzo di qualsivoglia bene o servizio.

Ma credo che ormai dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti quello che per chi analizza l'economia dalla prospettiva della scuola austriaca era evidente fin dall'inizio: ossia che la risposta monetaria data a una crisi che aveva origini prevalentemente monetarie avrebbe generato problemi peggiori (ossia nuove bolle alimentate da debito) di quelli che intendeva risolvere.

La Fed continua a prendere tempo, e a peggiorare le cose.


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