Scorie - Parlare senza sapere

Come avrà notato chi ha la pazienza di leggere ciò che scrivo, da circa un anno a questa parte mi capita di commentare con sempre maggior frequenza le scorie rilasciate da Noah Smith, economista e blogger statunitense che ha come idoli Paul Krugman e Brad DeLong (altri miei "fornitori" di lunga data).

In altre circostanze ho sottolineato come Smith faccia di tanto in tanto riferimento alla scuola austriaca di economia, per lo più con l'intenzione di ridicolizzarne gli autori e soprattutto chi ritiene valida la teoria austriaca. Il tutto dimostrando, in base alle rare circostanze in cui va oltre l'insulto puro e semplice (Krugman style), di non avere mai letto una sola riga scritta da un economista di scuola austriaca.

Quando ho letto il titolo di un suo recente post ("Austrian Economics Might Explain China's Turmoil") ho voluto subito verificarne il contenuto. La partenza è in linea con i precedenti:

"Ci sono ancora economisti che pubblicano saggi sulla Review of Austrian Economics, e c'è ancora un sacco di gente in Internet che dice di aderire alla "scuola austriaca". La scuola austriaca, per i non iniziati, è un'accozzaglia di credenze, che solitamente sostengono che le monete fiat sono destinate a fallire, che il ritorno al gold standard è inevitabile e che le banche centrali sono responsabili delle bolle, dei crolli dei mercati e delle recessioni."

Ovviamente non manca un riferimento alla definizione di inflazione, e Smith sbeffeggia chi considera inflazione il Qe operato dalle banche centrali. Poi, dopo aver evidenziato il calo del prezzo dell'oro come prova della stupidità degli austriaci, aggiunge che "l'austrianismo, come molte scuole di pensiero economico, è un baco che non esce facilmente dal cervello dei suoi ospiti".

Fin qui, credo non valga neppure la pena fare commenti. Ho solo voluto rendere l'idea dell'impostazione di quel post. Poi, però, Smith si cala nei panni dell'economista serio:

"Ciò che per me è interessante, tuttavia, è che gli eventi in Cina stanno fornendo supporto ad alcune delle classiche predizioni del pensiero austriaco. Sebbene la maggior parte degli austriaci passino il loro tempo su Internet a menarla con l'oro, andando in iperventilazione con l'inflazione e chiamando varie persone comunisti, i pensatori originali della scuola austriaca – Ludwig von Mises e Friedrich Hayek – avevano anche altre idee. E alcune di queste potrebbero essere utili pensando alla Cina."

Dopodiché cita il concetto misesiano di "malinvestimenti", fornendo una chiara dimostrazione di non aver mai letto Mises, oppure di non aver capito nulla. Afferma infatti:

"Non è mai stato molto chiaro perché esattamente i malinvestimenti causino la crisi economica. Perché semplicemente le imprese non tagliano le perdite e investono immediatamente in qualcosa di più utile, non appena realizzano che stanno facendo la cosa sbagliata? La teoria austriaca non è mai stata particolarmente chiara su questo (e il suo notorio rifiuto di utilizzare precisi modelli matematici certamente non aiuta)."

Ecco, se non gli è chiaro perché i malinvestimenti portino alla crisi e perché le imprese non taglino le perdite quando si rendono conto di aver sbagliato, vuol dire che non ha capito nulla della teoria austriaca. Il fatto è che quando un investimento è fatto a debito la conseguenza dell'errore può non essere di facile soluzione come sembra supporre Smith. Non si tratta di vendere un titolo liquido in perdita e cambiare investimento (il che potrebbe comunque portare all'insolvenza sul debito); spesso si tratta di investimenti illiquidi e non è possibile smobilizzarli e iniziarne di altri dall'oggi al domani. Non credo servano astrusi modelli matematici per capirlo. Oltre tutto, Smith dimostra di non avere idea del ruolo della manipolazione monetaria e dei sistemi a riserva frazionaria nel generare i malinvestimenti. E in effetti li considera argomenti da malati di mente.

Proseguendo, arriva anche a scrivere di peggio.

"Questo ci porta a un'altra interessante nozione austriaca – l'instabilità dei mercati finanziari. La macroeconomia mainstream sta a malapena cominciando a trattare l'idea che i mercati finanziari abbiano una tendenza naturale ai boom e ai bust. Gli austriaci lo dicono da quasi un secolo. L'apparente inevitabilità dell'inversione nei prezzi degli immobili e delle azioni cinesi assomigliano a un ulteriore schiaffo a chi è scettico sulla bolla."

Ora, se uno fa riferimento a Mises e Hayek poi scrive cose del genere, vuol dire che non ne ha letto una sola riga. La scuola austriaca considera puramente ipotetica la nozione di equilibrio cara agli economisti classici, nel senso che l'equilibrio classico comporterebbe una staticità dell'economia che è incompatibile con il concetto stesso di azione umana. Ma in nessun caso le fasi di boom e bust sono considerate una "tendenza naturale" dei mercati, bensì la inevitabile conseguenza della manipolazione della moneta e dei tassi di interesse e dei conseguenti malinvestimenti.

Probabilmente Smith attribuisce agli austriaci l'ipotesi di instabilità dei mercati finanziari di Hyman Minsky, il quale, però, era di formazione keynesiana, tralasciava quindi di porre la dovuta attenzione sulle manipolazioni monetarie e, soprattutto, era interventista nella fase di bust. In pratica, tutta un'altra cosa.

Questo spinge Smith a concludere che ci sarebbero spunti interessanti nella teoria austriaca, ma che gli economisti austriaci contemporanei non saranno in grado di conquistare il mainstream perché non disposti a scartare le parti errate di Mises e Hayek. Per inciso, le parti errate sarebbero a suo parere quelle che ho commentato poc'anzi.

"Quindi se queste idee conquisteranno il mainstream, saranno i macroeconomisti mainstream a farlo. L'ortodossia austriaca, tristemente, è troppo fossilizzata."

Segnalerei a Smith che negli ultimi anni anche economisti non certo fuori dal mainstream hanno rivalutato i lavori dei fondatori della scuola austriaca. Su tutti indico Claudio Borio, capo del dipartimento economico e monetario della Banca dei Regolamenti Internazionali; se uno legge i suoi paper (in alcuni dei quali fa esplicito riferimento a Mises) o le ultime due relazioni annuali della BRI non può non notare che, pur restando nel mainstream, richiama spesso gli effetti delle politiche monetarie espansive su credito e prezzi degli asset.

Ciò detto, se prima di scrivere il prossimo pezzo sul tema Smith avesse almeno il buon senso di leggere le fonti corrette, sarebbe molto meglio. Quasi certamente non lo farà.


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