Scorie - Ma quale crescita?

"Personalmente ho sempre scritto che il nostro problema principale non è la finanza pubblica, è la crescita. Per crescere ci vuole la domanda."
(F. Galimberti)

Che l'Italia abbia problemi non solo nella finanza pubblica è evidente, ma dubito che sarebbe possibile lasciare salire il deficit contando su un contemporaneo aumento del Pil in modo da contenere l'aumento del rapporto tra debito pubblico e Pil.

Fabrizio Galimberti, da buon keynesiano, ripete il mantra che la via maestra per risolvere il problema del debito consiste nel far crescere il Pil piuttosto che nel contenere l'accumulazione di deficit (che aumentano il debito).

Che in una economia in recessione il rapporto tra debito e Pil corra il serio rischio di aumentare anche a fronte di un contenimento del deficit è indubbiamente vero, ma che il motore di crescita economica debba essere il deficit di bilancio è smentito dal buon senso, oltre che dalla storia.

Il buon senso dovrebbe rendere evidente che non è possibile che chi governa abbia più conoscenze e competenze dei milioni di soggetti privati che volontariamente interagiscono sul mercato, e la storia conferma ciò che il buon senso suggerisce.

Quanto al ridimensionamento del rapporto tra debito e Pil guidato dalla crescita del denominatore (il Pil), considerando i livelli raggiunti in Italia (e non solo) dal rapporto medesimo, a me pare evidente che ciò sia possibile solo mediante la cosiddetta "repressione finanziaria", ossia un mix di inflazione e vincoli legislativi che mantengano i tassi di interesse reali sul debito pubblico negativi per il periodo di tempo (più o meno lungo) necessario ad abbassare il rapporto.

Con un costo del debito pari a circa il 4 per cento del Pil e una crescita del Pil nominale del 2 per cento annuo, serve un avanzo primario attorno al 2.5 per cento del Pil per mantenere stabile il rapporto tra debito e Pil, partendo dall'attuale 133 per cento. Per abbassare (o azzerare) il saldo primario (cosa che piacerebbe ai keynesiani) sarebbe necessario avere una crescita nominale pari al costo degli interessi sul debito, sempre per mantenere stabile il rapporto. E' evidente, quindi, che per veder calare il rapporto sarebbe necessario avere un costo del debito inferiore alla crescita nominale del Pil. A solo titolo di esempio, con una crescita nominale del Pil costantemente pari al 3 per cento annuo (credo che sarebbe per lo più inflazione, per i motivi a cui farò accenno poco oltre), con un saldo primario pari a zero e un costo del debito pari al 2 per cento del Pil il rapporto debito/Pil scenderebbe poco sotto al 110 per cento in 20 anni. Poca cosa, a mio parere.

L'intermediazione statale su oltre la metà del Pil ha provocato nel corso del tempo (assieme ad altri fattori, per esempio la demografia) una diminuzione del potenziale di crescita economica, per cui è illusorio credere che espandendo ulteriormente la componente pubblica del Pil si risolvano i problemi dell'eccesso di debito.

Dietro al mantra della crescita c'è quindi la volontà più o meno esplicitata di fare ricorso alla repressione finanziaria, cosa che peraltro si sta già verificando.

Esistono soluzioni alternative? Evidentemente sì, anche se nessuna è indolore per tutti. Nella situazione attuale il debito può essere alleggerito mediante la repressione finanziaria (default implicito), mediante una ristrutturazione (default esplicito), oppure iniziando a liberare l'economia dalla ormai troppo soffocante presenza dello Stato.

In quest'ultimo caso si deve procedere dismettendo patrimonio pubblico e riducendo la spesa pubblica e le tasse (con tagli di spesa evidentemente superiori a quelli delle tasse). Non è detto che ciò sia sufficiente e che si riesca a evitare una ristrutturazione. Ma continuare a mentire sulla realtà dei numeri e puntare sulla repressione finanziaria a me pare una scelta eticamente ed economicamente peggiore.


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