Scorie - La realtà non si cambia politicamente

"Io non penso che sia una buona idea per la nostra economia rispettare i vincoli, ma è un messaggio di credibilità che diamo. Ma è possibile dire che dal 1992 il mondo è cambiato? La presidenza italiana dell'Ue ha provato a dare questo messaggio. L'Europa deve cambiare: nella discussione sul futuro globale tutti chiedono di investire sulla crescita."
(M. Renzi)

Da diversi mesi a questa parte Renzi sta cercando di ottenere dalla Commissione europea (leggi: dalla Germania) una sorta si via libera a sbragare sul deficit, ovviamente non riducendo veramente le tasse, bensì rimandando per l'ennesima volta la riduzione (reale) della spesa pubblica.

Il presupposto, molto caro alla totalità dei partiti di maggioranza e opposizione, oltre che degli economisti che trovano spazio sugli organi di informazione italiani, è che la spesa pubblica costituisca ricchezza. In effetti contabilmente lo è, dato che, per (scellerata) convenzione, la spesa pubblica costituisce un elemento positivo nel calcolo del Pil.

Renzi vuole però apparire uno scolaretto diligente, per cui il suo mantra è più o meno il seguente: l'Italia rispetterà il vincolo del 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil, ma i parametri di Maastricht sono superati, perché il mondo in venti anni è cambiato.

Effettivamente il mondo è davvero cambiato, e per quanto riguarda la finanza pubblica è sicuramente cambiato in peggio. Il limite del 60 per cento nel rapporto tra debito pubblico e Pil fu fissato perché, grosso modo, quello era il livello medio dell'epoca (l'Italia era già attorno al doppio, ma questo è un altro discorso); il limite del 3 per cento nel rapporto tra deficit e Pil fu fissato in modo tale da mantenere stabile il rapporto tra debito e Pil nell'ipotesi di crescita dei prezzi al consumo attorno al 2 per cento e crescita reale del Pil al 3 per cento.

Oggi ben difficilmente la crescita potenziale del Pil può essere stimata al 3 per cento nella maggior parte dei Paesi europei, per cui effettivamente i parametri di venti anni fa non sono realistici. Ma nel senso opposto a quello inteso da Renzi.

L'idea, tipicamente keynesiana, di fare uno scambio tra maggior deficit oggi a fronte dell'impegno a una politica fiscale rigorosa in un non meglio precisato medio periodo, oltre a non essere risolutiva non appare per nulla credibile.

Non è risolutiva perché maggiore deficit comporta maggiore debito e al livello attuale (attorno al 135 per cento del Pil) la sostenibilità diventa fortemente condizionata da un livello dei tassi di interesse via via più basso. Né sarebbe credibile, perché il momento politicamente buono per sistemare i conti, a maggior ragione riducendo la spesa pubblica, non arriva mai.

I continui richiami di Renzi a "investire sulla crescita", spingendo poi per concordare a livello europeo che ciò che si conviene sia "investimento" pubblico finanziato in deficit non costituisca deficit, non è altro che il desiderio di cambiare nome alla realtà. Da domani si può anche stabilire con una direttiva europea che il debito non è più debito, ma questo non cambia la realtà: ossia che qualcuno l'onere lo deve sostenere.

Cambi pure l'Europa, ma la realtà non si cambia per decreto o raccontando favole come ama fare Renzi quotidianamente.


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