Scorie - The (bad) conscience of a liberal (34)

"Secondo i dati, l'Argentina sembra effettivamente avere un'inflazione molto più alta di quello che ammette il Governo. Qual è la ragione? Sostanzialmente l'Argentina, che aveva beneficiato enormemente dell'applicazione di politiche eterodosse dopo il tracollo della sua valuta, nel 2001, ha proseguito troppo a lungo con queste politiche eterodosse e ora sta sperimentando i classici problemi dei Paesi in via di sviluppo, con un deficit di bilancio persistente che sta monetizzando perché non ha accesso ai mercati, e questo a sua volta sta provocando problemi persistenti dal punto di vista dell'inflazione e della bilancia dei pagamenti. Se qualcuno comincia a strillare che sono incoerente a dire che la spesa in disavanzo e lo stampare moneta sono un problema in Argentina quando sono le stesse politiche che voglio vedere applicate negli Stati Uniti, rispondo che sì, è esattamente così: perché l'economia americana è in una trappola della liquidità e soffre di una persistente carenza di domanda, mentre l'economia argentina è surriscaldata."
(P. Krugman)

Quando chi non crede negli illusionismi monetari e fiscali sosteneva che l'Argentina post default del 2001 non aveva risolto i suoi cronici problemi di finanza pubblica perché finanziare spesa pubblica in deficit mediante la stampa di moneta non è una soluzione, bensì una causa di tali problemi, si trovava a discutere con keynesiani che scodellavano i dati sulla crescita del Pil in un contesto di moderata crescita dei prezzi al consumo e, con una certa dose di arroganza (tipica, peraltro) pretendevano di mettere a tacere i propri perplessi interlocutori.

Ben presto, peraltro, i dubbi sulle virtù del nuovo (tradizionale, a dire il vero) corso argentino non fecero che intensificarsi, considerando che i dati ufficiali sull'andamento dei prezzi al consumo configgevano palesemente con quelli forniti da analisti indipendenti, oltre che con un fatto apparentemente inspiegabile: gli argentini non nutrivano una grande fiducia nel peso e cercavano di liberarsene il prima possibile, convertendoli in beni reali o in dollari americani. Questo generalmente non avviene se la moneta tende ad avere un potere d'acquisto stabile.

Per contrastare questa tendenza, il governo aggiunse distorsioni a distorsioni, ponendo limiti alla convertibilità del peso, finendo così per favorire lo sviluppo di un mercato parallelo a quello ufficiale in cui il dollaro aveva un valore anche superiore del 30 per cento rispetto al cambio ufficiale.

Anche di fronte a questi dati, però, c'era ancora chi sosteneva che l'Argentina era un esempio da imitare da questa parte dell'Atlantico.

Adesso Krugman se ne esce candidamente sostenendo che in Argentina hanno esagerato, mentre negli Stati Uniti e altrove si può ancora andare avanti a fare deficit monetizzandolo. E' chiaro che le stesse politiche hanno effetti diversi in contesti diversi, ma ciò che cambia sono soprattutto i tempi in cui gli "effetti collaterali" si manifestano.

In un Paese che non ha storicamente avuto una moneta utilizzata a livello internazionale e che, per di più, per decenni ha praticato politiche monetarie "eterodosse" (per usare lo stesso termine di Krugman), la resa dei conti tende ad arrivare prima che in un Paese la cui moneta è la più utilizzata a livello globale (magari per motivi geopolitici e militari, oltre che economici).

Ciò non toglie che una politica di costante aumento della base monetaria e di monetizzazione del debito pubblico è destinata a generare una perdita di fiducia nell'autorità che emette e manipola quella moneta. Questo potrebbe richiedere decenni, ma una crisi di fiducia avrebbe poi conseguenze molto più negative ed estese di quelle che interessano oggi l'Argentina (o il Venezuela, tanto per rimanere in zona).

Oltre a non risolvere i malanni dell'economia e della finanza pubblica, bensì a rimandarli aumentandone le dimensioni, le politiche monetarie e fiscali espansive presentano un grosso problema di reversibilità, nel senso che è politicamente molto difficile ridurre la spesa pubblica e rinunciare alla monetizzazione del debito una volta introdotti e somministrati a lungo. Questo fattore è costantemente sottostimato (non si sa quanto in buona fede) fin dai tempi di Lord Keynes.

Eppure la storia, come è ben noto a chi vive in Italia, dovrebbe aver fornito già prove sufficienti per rendersene conto.


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