Scorie - La grande sfortuna

"In un'economia dove il settore privato risparmia l'8% del Pil, la crescita
è zero solo se il governo va in deficit dell'8% del Pil… I cosiddetti
esperti che non sono consapevoli di questo… hanno prolungato senza motivo
la recessione in Giappone insistendo che il moltiplicatore fiscale è basso
e impedendo l'adozione delle politiche più efficaci durante una recessione
patrimoniale – gli stimoli fiscali. Questa è una grande sfortuna."
(R. Koo)

Pur continuando a leggerlo assiduamente, era un po' di tempo che non mi
occupavo di Richard Koo. La sua teoria sulla balance sheet recession,
elaborata prendendo spunto dalla lunga crisi giapponese, è ormai piuttosto
conosciuta. Personalmente credo che l'autore tenda a sopravvalutare la
portata innovativa di quella teoria, dato che gli effetti di un eccesso di
debito che si accumulano durante il boom e diventano insostenibili dopo il
bust sono già stati ampiamente analizzati da Mises e altri economisti della
scuola austriaca, nonché da Irving Fisher, già circa un secolo fa e più
recentemente, ma ben prima di Koo, da Hyman Minsky.

Ovviamente a essere differenti sono le premesse e le conclusioni, mentre
sulla descrizione del processo che conduce alla formazione di bolle e a un
eccesso di debito si riscontrano diversi punti in comune. In sostanza, il
ruolo generatore della fase di boom che finisce prima o poi con un bust,
che gli economisti di scuola austriaca individuano nella politica monetaria
espansiva, viene tralasciato dagli altri approcci, che sono poi (in
particolare quello di Minsky e quello di Koo) delle varianti della teoria
keynesiana.

Koo è piuttosto critico nei confronti della politica monetaria espansiva,
ma soprattutto perché la ritiene inefficace. Il problema è che senza una
politica monetaria espansiva la sostanziale monetizzazione dei massicci
deficit spending che lui ritiene indispensabili per risolvere il problema
(sic!) non sarebbe possibile, perché condurrebbe ben presto i tassi di
interesse a salire in modo drastico.

La sua visione (tipica della macroeconomia keynesiana) degli aggregati che
compongono il Pil è a mio parere abbastanza puerile, se mi si passa il
termine. Quello che lui considera risparmio, in realtà non è risparmio. E'
semplicemente moneta creata dal nulla che prima ha alimentato il debito
privato, poi ha continuato a essere immessa nel sistema per mantenerlo a
galla in termini nominali, ma a fronte della quale non vi è nulla di reale.
Questo punto deriva direttamente da Keynes, che riteneva che il denaro
creato dal nulla fosse risparmio "genuino" come quello derivante da un
reddito prodotto e non consumato (la cosa che trovo allucinante è che
prevalgano coloro che sono convinti che le cose stiano effettivamente
così!).

Quanto agli stimoli fiscali, la ormai ultraventennale esperienza giapponese
dovrebbe indurre ogni keynesiano a rivedere le proprie analisi. Invece – e
questo è un classico – ci si sente dire che il Giappone non è mai uscito
dalla crisi dopo lo scoppio della bolla immobiliare e azionaria di fine
anni 80 perché non ha usato con abbastanza aggressività gli stimoli
fiscali.

In questi casi credo che sia opportuno lasciar parlare i numeri. Alla fine
del 1989 il Giappone aveva un debito pubblico pari al 69.6 per cento del
Pil; a fine 2013 il rapporto era 243 per cento. Il bilancio pubblico ha
registrato un deficit medio del 4.8 per cento in quel periodo. Media che
sale al 6.7 per cento dal 1998 al 2013 e all'8.8 per cento dal 2009 al
2013.

Politiche fiscali così espansive sono state accompagnate da politiche
monetarie altrettanto espansive. Questo ha impedito che dopo lo scoppio
della bolla si verificassero i necessari aggiustamenti di mercato volti a
riallocare le risorse precedentemente male allocate a causa delle
distorsioni monetarie. Ma tenere in vita artificialmente banche e imprese,
se da un lato attutisce le ripercussioni sociali nel breve periodo,
impedisce di fatto che l'economia possa ripartire. Il tutto mentre
l'eccesso di debito privato diventa eccesso di debito pubblico.

Koo continua a non accorgersene, almeno così pare. Questa sì che è una
grande sfortuna.

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