Scorie - Il pastore tassatore - parte seconda

Riprendo dall'articolo di monsignor Forte:

"In concreto, allora, l'etica del commercialista non può non tener conto di
questi tre criteri fondamentali: il dovere morale di ogni cittadino di
contribuire al bene comune; l'esigenza etico-sociale che questa
contribuzione sia equamente distribuita; l'affidabilità delle garanzie
offerte da chi governa e dal quadro economico-politico generale circa il
buon uso del denaro pubblico. (Embedded image moved to file: pic00041.jpg)
Che contribuire al bene comune sia un preciso dovere morale dovrebbe essere
un'evidenza: come tutti hanno il diritto di beneficiare dei servizi
pubblici, così ciascuno in rapporto alle proprie possibilità deve
contribuire ai costi che essi comportano. Dove l'equilibrio fra servizi e
risorse fosse minato da una parte o dall'altra, ci troveremmo di fronte a
forme di assistenzialismo o all'enfatizzazione anarchica dei diritti di
alcuni. Il "bene comune" si realizza precisamente nell'offerta il più
possibile adeguata dei servizi, supportata da una partecipazione alla spesa
che sia responsabile e commisurata alle possibilità di ciascuno. In questo
senso, l'evasione fiscale è un furto al bene di tutti, una colpa morale
frutto di egoismo e di avidità, negazione di quell'esigenza di solidarietà
verso gli altri, specie i più deboli, che deve regolare la società e
l'impegno dei singoli. In riferimento al Decalogo – grande codice della
coscienza morale universale – chi evade le tasse trasgredisce il
comandamento "Non rubare!", con l'aggravante di farlo a discapito
soprattutto dei più deboli e bisognosi. Questo il dottore commercialista ha
il dovere di tenerlo sempre presente e di ricordarlo con rispetto a
chiunque gli si rivolga per valersi delle sue competenze. In questa luce,
la responsabilità etica del commercialista assume una valenza perfino
testimoniale rispetto ai doveri verso il bene comune, cui a nessuno è
lecito sottrarsi."

Secondo Forte, dunque, dovrebbe essere evidente che contribuire al bene
comune (ribadisco: concetto soggettivo) sia un "preciso dovere morale".
Indubbiamente lui e altri possono condividere questo punto di vista, ma il
problema è che trasformare un dovere morale in un dovere imposto a norma di
legge significa fare violenza a chi non è consenziente. Mi permetto di
dubitare che ciò possa essere a sua volta considerato morale. Certamente di
violenza si tratta, e la violenza, se non usata per difendersi da una
violenza iniziata da altri, non mi pare affatto compatibile con il bene del
singolo che la subisce.

Monsignor Forte sembra un socialista quando afferma, in buona sostanza, che
ognuno ha diritto a utilizzare i servizi pubblici in base al proprio
bisogno, mentre deve contribuire ai costi in base alle proprie possibilità.
Il fatto che ciò implichi necessariamente una forma di schiavitù imposta a
chi è costretto a pagare per i servizi non pagati da altri sembra non
urtare la sensibilità del prelato. Come non urterebbe quella di un
socialista.

Non capisco, poi, come ritenga possibile trovare un equilibrio non
arbitrario in modo tale da evitare "forme di assistenzialismo", mentre non
mi pare giustificabile il concetto di "enfatizzazione anarchica dei diritti
di alcuni". A mio parere si tratterebbe, in ultima analisi, della semplice
difesa del diritto di proprietà da parte di un individuo non disposto a
pagare per i servizi fruiti da altri. Questo potrà pure sembrare immorale a
monsignor Forte, ma, è bene ripeterlo, l'imposizione di una specifica
morale mediante la violenza delle norme di legge porta inevitabilmente a
forme più o meno pervasive di totalitarismo.

Il richiamo al comandamento "non rubare" per identificare l'evasione
fiscale con il "furto al bene di tutti" non è certamente un contributo
originale offerto alla causa della tassazione, ma, ancora una volta, è
frutto dell'idea che sia giusto imporre determinati principi morali
(soggettivamente intesi) con la violenza delle norme di legge. In altri
termini, Forte è libero di ritenere che l'evasione fiscale sia "una colpa
morale frutto di egoismo e di avidità, negazione di quell'esigenza di
solidarietà verso gli altri, specie i più deboli", ma trasformare egoismo e
avidità in crimini mi sembra inaccettabile se non si vuole una deriva da
Stato etico.

Personalmente credo che il furto si verifichi nel caso in cui una persona
sfrutti il minor reddito dichiarato per accedere gratuitamente a servizi
pubblici che altrimenti dovrebbe pagare in tutto o in parte, ma credo anche
che il semplice fatto di non volere dare allo Stato la maggior parte del
reddito prodotto corrisponda nella sostanza a una difesa della proprietà
privata. Tanto per essere chiari, se uno evade e poi chiede e ottiene lo
sconto sulla retta di un asilo o di una scuola pubblica in virtù del basso
reddito dichiarato per me è un ladro; ma se quella stessa persona non
chiede sconti o si rivolge a una struttura privata, credo non faccia nulla
di deprecabile.

Credo, poi, che la posizione di Forte diventi ancor meno sostenibile quando
passa ad affrontare il tema della equa ripartizione del carico fiscale. Di
questo mi occuperò nella prossima parte.

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