Scorie - Il Maestro delle bolle

"Durante il mio lavoro alla Fed, ho imparato che la condizione necessaria,
e probabilmente sufficiente, per l'esistenza di una bolla è un lungo
periodo di stabilità economica, con bassa inflazione. Una condizione che
porta inevitabilmente a una bolla. Si può provare a disinnescarla, come
abbiamo fatto nel 1994, ma abbiamo fallito, il risultato finale era
inevitabile. L'unica possibilità è cercare di rompere alla radice
l'esuberanza irrazionale che porta alla creazione di queste bolle, ma è un
risultato fuori dalla portata della Fed."
(A. Greenspan)

Alan Greenspan, il "Maestro" della politica monetaria caduto in disgrazia
con la crisi iniziata nel 2007 dopo circa un ventennio passato alla
presidenza della Federal Reserve, continua con una certa assiduità a essere
intervistato. Di recente gli chiedono spesso un parere sulle bolle
finanziarie.

Greenspan ritiene che il risultato finale, quando una bolla si è gonfiata,
sia inevitabile. E su questo si può essere d'accordo. Su tutto il resto,
penso di no.

I lunghi periodi di stabilità con bassa inflazione sono in realtà
caratterizzati da una dinamica contenuta degli indici dei prezzi al
consumo, ma da una più o meno consistente contrazione dei premi per il
rischio non dovuta a chissà quali particolari congiunzioni astrali, bensì a
politiche monetarie espansive che distorcono l'interazione tra domanda e
offerta di denaro e, di conseguenza la formazione dei prezzi di diversi
beni.

La stessa "esuberanza irrazionale", espressione tanto cara a Greenspan,
probabilmente sarebbe meno evidente se la politica monetaria falsasse meno
la formazione dei prezzi, a partire da quello fondamentale in un'economia
caratterizzata dall'utilizzo della moneta e del credito: i tassi di
interesse.

L'abbassamento artificiale dei tassi di interesse provoca un aumento del
valore attuale netto degli investimenti, finendo per rendere ex ante
redditizi anche investimenti che non lo sarebbero in assenza di distorsioni
dovute alla politica monetaria. Questi investimenti, che Mises definiva
"malinvestimenti", sono destinati a rivelarsi ex post fallimentari, per il
semplice fatto che la loro redditività dipende solo da una prosecuzione
della politica monetaria inflattiva, la quale, però, o viene interrotta per
fini "prudenziali" (quello che cercò di fare Grenspan nel 1994, ad
esempio), oppure può portare a una spirale di iperinflazione e implosione
del sistema monetario.

Quest'ultima ipotesi è spesso derisa dai fautori della creazione di moneta
come soluzione a ogni problema, ma storicamente si è verificata più volte e
il fatto che nel caso degli Stati Uniti non si arrivi all'implosione con la
stessa velocità con cui ci si arriva nello Zimbabwe non significa che si
possa escludere del tutto un esito analogo. Semplicemente è necessario un
periodo di tempo più prolungato, ma sarebbe una pretesa vana e pericolosa
supporre di riuscire a individuare in anticipo il momento in cui
interrompere la droga monetaria per evitare il collasso.

In ogni caso la storia dell'ultimo secolo fornisce diverse prove del fatto
che ogni fase di crescita dell'economia supportata da una politica
monetaria espansiva è seguita da una crisi di portata più o meno
consistente, oltre che da una tendenza, durante la fase di crescita, a
trascurare l'equilibrio dei conti pubblici, dato che il denaro è a buon
mercato (anche e soprattutto per gli Stati).

In definitiva, ciò che è fuori dalla portata della Fed e di tutte le banche
centrali è riuscire a "gestire" il ciclo economico. Se si limitassero a non
fare nulla gli scossoni sarebbero molto meno frequenti e dolorosi, anche se
svanirebbero molte illusioni sulla possibilità di arricchirsi senza sforzo
e a spese altrui.

    

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